EVOKED

Evoked è una delle rare occasioni in cui il progetto e il tempo del disegno coincidono in modo quasi perfetto. Trovo molto stimolante il confronto costruito attraverso una mostra con altri architetti che come me lavorano da molto tempo sulla scrittura attraverso immagini costruite in modi e con tecniche diverse. La scrittura per immagini è descritta in modo attento da Domenico Pastore uno dei curatori della mostra e del catalogo . E la scrittura leggera di due culture si intreccia e sovrappone al paesaggio mediterraneo.

EVOKED Architectural diptychs
edizioni Giuseppe Laterza2016

La costruzione delle immagini evocative
Domenico Pastore
Il disegno è un aforisma.
L’aforisma è uno strumento di comunicazione rapida [di pensieri lenti]

1

Le immagini

Le immagini fotografiche scattate da Albes Fusha nell’estate del 2015, lungo il tratto di costa che va da Lezha fino a sud di Fier, registrano l’alterazione dei rapporti tra la natura del territorio albanese e le abitazioni che l’uomo ha costruito in seguito alla caduta del regime comunista.
Nella sequenza di scatti selezionati, sono state ritratte costruzioni incomplete, abbandonate o parzialmente abitate, prive di un’immediata qualità architettonica, ma in grado di documentare le modalità con cui sono state occupate abusivamente porzioni di territorio per trasformarlo in un luogo dove abitare.
La composizione fotografica, principalmente strutturata sulla distinzione marcata tra la figura e lo sfondo, sottolinea la condizione isolata e marginale in cui sono calate le costruzioni, conferendo una aura monumentale a questi oggetti in-significanti, incapaci di veicolare alcuna forma o senso dell’abitare, ma al contempo capaci di evocare potenziali riscritture architettoniche.

Indifferenti alle peculiarità orografiche in cui vengono erette, queste costruzioni si antepongono alla scena degli accadimenti, filtrando il paesaggio circostante e occultandone porzioni attraverso diverse modalità di chiusura dello spazio interno e di ancoraggio al suolo. L’interruzione dell’andamento delle emergenze montuose sul fondo dell’immagine, viene risarcito dalla profondità di veduta recuperata in basso, dove la costruzione trova il suo appoggio. Lo spazio a piano terra, su cui è proiettata l’ombra dell’abitazione sovrastante, appare scandito dai pilastri perimetrali che, liberi da connessioni murarie, permettono di stabilire un rapporto osmotico con l’intorno circostante.
Questa condizione, sebbene nasca per mere esigenze funzionali - la salvaguardia dell’abitazione da possibili inondazioni quando viene edificata su terreni di bonifica, la possibile occupazione da parte dei familiari in futuro o il potenziale utilizzo per destinazioni commerciali- conferisce a questi oggetti una particolare modalità insediativa, che paradossalmente appare come una forma di rispetto per la terra su cui sorgono.
In tutte queste immagini fotografiche è possibile riconoscere come
“l’icona dello scheletro, potente strategia concettuale, diviene quindi la matrice della costruzione urbana senza descrizione, una vera e propria invasione della crosta terrestre attraverso la definizione plastica di una nuova geografia attiva nella duplicazione di quella naturale. Lo scheletro parte da un dato assolutamente concreto: una colata di cemento con dei sostegni e null’altro”

2.
La bellezza del paesaggio albanese appare definitivamente corrotta dalla rigidità degli scheletri in cemento armato, che ne misurano la distanza e ne scandiscono la sequenza in frammenti crudelmente raggelati nei contorni dei telai o sfregiati dall’articolazione di solette rampanti.
Questo spazio sottratto alla natura si rivela come una sorta di scrigno in cui è custodito un buio atavico in attesa di vita o già avviato all’ingentilimento, con finiture che rimandano agli stilemi dell’agiatezza occidentale.
Il mistero che trapela dai tagli brutali delle aperture, prive di protezione, ricavati nelle murature perimetrali e dalla oscurità nascosta al di là di quei diaframmi provvisori, introduce in queste immagini la vacuità di quelle costruzioni erette senza necessità ma dettate da una volontà di emancipazione dal contesto di appartenenza.
Nella scelta dei soggetti e delle modalità d’inquadratura, si rileva l’impellenza di evidenziare i tratti che accomunano e caratterizzano queste costruzioni, secondo dei princìpi e delle invarianti che rendano visibile le modalità con cui l’unità abitativa può, secondo una tempistica dettata dalla crescita della famiglia, subire degli incrementi additivi di spazi a servizio del nuovo nucleo.
Il potenziale espresso dalle costruzioni viene raffigurato dall’incompletezza e dall’anomala collocazione di alcuni elementi, che rendono possibile una stratificazione in verticale.
L’inquietante presenza nel paesaggio è stata documentata attraverso tre diversi tipi di inquadrature:

-immagini frontali a campo medio, che riducono il volume alla bidimensionalità del prospetto su strada, inteso come espressione della sensibilità estetica dei proprietari maturata in seguito alla permanenza in paesi occidentali, o come dichiarazione dell’attività commerciale per mezzo d’insegne dagli aspetti variegati e multiformi;

- immagini scorciate, che delineano i contorni informi del volume edilizio e svelano l’articolazione degli spazi in relazione ai potenziali sviluppi in elevazione;
In queste immagini sono ben evidenti gli elementi di relazione con lo spazio esterno, quali il portico o la loggia di affaccio che registra il mutato rapporto con l’intorno circostante: da suolo produttivo a veduta paesaggistica:

-immagini a campo lungo, in cui gli edifici perdono l’immediata riconoscibilità di abitazioni fondendosi con la natura ed ergendosi nel paesaggio come architetture templari cariche di drammaticità.
La sospensione temporale sottesa in queste riprese, in cui le abitazioni sembrano aver raggiunto un limite ambiguo tra l’essere una rovina di un qualcosa che lentamente si sta sgretolando, e la costruzione incompleta di un’architettura a venire, permette una sorta di riconnessione con le raffigurazioni pittoresche del XVIII secolo, conferendo sacralità ad oggetti nati con finalità speculative.
Allo sguardo del fotografo, che tenta di dare una visione soggettiva del fenomeno, è stato associato un approfondimento analitico degli oggetti attraverso l’elaborazione di rappresentazioni assonometriche in grado di verificare, e documentare, i rapporti tra le parti, astraendole dal contesto d’origine per esaminarle nell’incompiutezza formale e nella precaria risoluzione visiva.
Da queste rappresentazioni, disegnate al tratto, è possibile evidenziare come la struttura intelaiata governa l’articolazione dei volumi e diventa ossatura sulla quale si impostano le parti di chiusura che definiscono i volumi incompleti delle fabbriche.

Riconoscendo che “ il potere risolutivo della linea è infatti l’unico mezzo di cui si dispone per comprendere con esattezza soddisfacente la struttura dei corpi che compongono il mondo visibile.

3.
,si è tentato di restituire delle immagini di queste costruzioni in grado di definirsi come oggetti di indagine e ricerca. Nelle visualizzazioni dal basso è possibile riconoscere l’impronta puntuale e discontinua con cui è stabilito l’appoggio sulla terra e il rimando “inconsapevole”

4
al modello modernista della maison Dom-ino, svincolato dalla logica aggregativa ed eletto a unità minima isolata. La rigida demarcazione degli elementi che li compongono, separata chirurgicamente dalla bellezza disomogenea del paesaggio di appartenenza, rivela nitidamente le sgrammaticature,  le imperfezioni e la crudezzainsita in questi fabbricati eretti senza una prefigurazione

5.

progettuale e ora disponibili ad una radicale trasfigurazione. Senza voler elogiare la spontaneità di queste fabbriche, come avviene nella

Architettura senza Architetti

6. o dellaLibertà di costruire

7.
si è provato ad interrogarsi sulle potenzialità di queste costruzioni incompiute e verificare se “posseggano elementi positivi da cui imparare, concetti da assorbire e pratiche complesse da mutuare, sia per la loro trasformazione, che a disposizione per progetti ex novo

8.
Le trasfigurazioni

L’approfondimento della ricerca su queste costruzioni è stato condotto assegnando, agli architetti di entrambe le nazionalità, il tema della formulazione di un pensiero grafico sull’incompiuto albanese, partendo da una delle sedici fotografie scattate da Albes Fusha.
Per ogni coppia di architetti, scelti dai curatori dei rispettivi paesi, è stata assegnata una delle immagini che poteva essere vicina ai loro ambiti di interesse, e al contempo fosse un pretesto visivo per innescare un possibile dialogo a distanza sulla stessa immagine, dichiarando così la propria posizione sull’architettura informale.
La struttura del dittico è stata pertanto assunta non solo come formula espositiva degli elaborati, ma anche come modalità di lettura della trasfigurazione della stessa immagine da parte di due autori che, all’insaputa della combinazione stabilita, potessero rendere visibile la migrazione dell’immagine di partenza in diversi campi del pensiero immaginifico.

Nella definizione “l’architettura oggi non è altro che un’operazione di riscrittura di un testo già scritto, un aggiungere o meglio un togliere a qualcosa che già esiste, in forma compiuta

9.
è forse condensato lo spirito con cui sono stati coinvolti in questa sperimentazione tutti gli autori.

La possibilità di trasfigurare, attraverso l’utilizzo di tecniche di rappresentazione libere, le costruzioni riprodotte nelle fotografie ed intenderle come testi interrotti, abbandonati o appena abbozzati, ha condotto a risultati diversificati generando una sequenza di “doppi” interpretativi che si strutturano, sostanzialmente, in un diverso modo d’intendere l’immagine di partenza e in diverse modalità di alterazione della figura in relazione con lo sfondo e viceversa, individuando altre forme o destinazioni che dichiarano un visione politica sul fenomeno

10.
L’approccio differente con cui si concretizza la risposta figurativa e testuale è riconducibile ad azioni elementari, che partendo dalla proiezione di una necessità architettonica ne descrivono la forma o ne denunciano l’assenza.

La STRATIFICAZIONE di segni e figure, rielaborando in un ordine nuovo la condizione originaria e permettendo una sedimentazione di prospettive future, è stata l’operazione adottata da una parte significativa di architetti. La possibilità di veicolare con immediatezza il pensiero progettuale è connaturata nella tecnica del fotomontaggio

11.
in quanto permette la compresenza nella stessa immagine di porzioni significative della condizione originaria e l’innesto di nuovi elementi che la alterano.

Nelle immagini, così elaborate, si annullano le distanze temporali e spaziali tra raffigurazioni impiegate, riconducendole ad una condizione di simultaneità in cui si destabilizza l’ordine e la successione degli accadimenti. “ Con il collage si realizza qualcosa di nuovo a partire da ciò che abbiamo, si reinventa il passato e si creano nuovi collegamenti tra cose e persone

12.
rivelando con maggiore immediatezza il nuovo equilibrio raggiunto e rendendo visibile l’idea d’architettura che si intende veicolare.

In questa azione è insita la possibilità di visualizzare non solo le nuove relazioni con il contesto circostante, ma anche incrementare la densità delle costruzioni, al fine di ritrovare un senso collettivo e una riconoscibilità in un paesaggio privo di riferimenti architettonici.
L’INDIVIDUAZIONE di parti significative, cariche di drammaticità o figure archetipe, sulle quali si operano delle estensioni smisurate, denuncia il bisogno di accogliere quello stato di abbandono come una condizione da cui partire per poter conferire a queste costruzioni la dignità dell’architettura costruita.

13.
L’ALTERAZIONE dell’immagine seguendo processi deformativi di elementi preesistenti, scandisce i tempi di variazione della forma che tenta di trovare una necessità nel paesaggio originario. Il dinamismo insito in queste immagini raggela un processo di rappresentazione che non si conclude in una immagine definitiva, ma la individua come una configurazione possibile prima che possa diventare architettura.

L’IBRIDAZIONE di diverse tecniche di rappresentazione sia digitale che manuale ristabilisce un contatto tra diverse modalità d’interpretazione della realtà dove i limiti dell’una vengono integrate dall’altra e viceversa, in un rapporto di “solidarietà” espressiva e rafforzamento figurativo. Le nuove raffigurazioni così appaiono migrare da una dimensione immaginifica all’altra riattivando un movimento del pensiero verso la rappresentazione del soggetto architettonico.

L’ELIMINAZIONE di un immediato rimando alla raffigurazione di partenza, dalla quale si colgono solo degli elementi di riconoscibilità, sovverte la rappresentazione iniziale e introduce una visione che si struttura sulla riscrittura astratta, mescolata con la biografia personale e i modi di vedere

e controllare il progetto. Questa operazione concettuale è segnata da una forte astrazione dell’immagine raggiunta, e catapulta le costruzioni in altri campi dell’immaginazione e del pensiero critico

14.
dai quali si crede di dover ripartire per poter ricostruire un’idea di architettura in grado di farsi città.

La REITERAZIONE ossessiva di infinite modalità di variazione di un testo apparentemente bloccato, costituisce una dimostrazione di come il limite tra la scrittura e il disegno diventa labile se sapientemente articolato e declinato sull’oggetto di partenza da cui si scorporano elementi e invarianti che evocano la rappresentazione originaria senza però riproporla interamente.

15.
La RIDUZIONE dell’immagine di partenza a mero disegno, attraverso il riconoscimento dei contorni che rimandano alla tridimensionalità e l’annullamento delle variazioni superficiali degli elementi, non rivela immediatamente la rappresentazione dell’intervento, confondendolo, invece, in un naturale sodalizio con la condizione di partenza, spostando così il campo d’azione dalla sperimentazione formale alla ridefinizione funzionale e concettuale dell’edificio.

La CITAZIONE e il ready made di immagini note come strumento di evocazione di un pensiero sull’architettura, si struttura secondo modalità differenti e raggiunge risultati di altra natura espressiva.

In questa operazione non si tenta di dare una immediata risposta formale o spaziale al fenomeno, ma attraverso l’atto provocatorio e di denuncia di uno stato delle cose si cerca di ergere l’immagine a veicolazione immediata di una posizione politica

La REINVENZIONE del luogo, in cui sono collocati i nuovi corpi, non consiste in una banale riscrittura delle condizioni naturali, ma nell’intendere la natura come protagonista della scena e nell’affidare a questa il compito di governare e dirigere il desiderio di occuparla e possederla.

Azzerato, riflesso e ri-naturalizzato, il paesaggio delle costruzioni incomplete è stato assunto non come sfondo degli accadimenti, ma come materia e sostanza figurata con cui elaborare le tensioni e i desideri di trasformazione, caricandosi del compito di ricucire un legame con l’architettura.

16

Nelle opere presentate si riconosce, in definitiva, un ruolo preciso della rappresentazione, intesa non solo come mezzo ma soprattutto dispositivo in grado di rinnovare la domanda sul nostro modo di vedere e trasformare quegli oggetti incapaci di evocare architettura.

1. B. Servino,

Obvius

, LetteraVentidue, 2013 p. 97

2. C.Gambardella,

Centomila Balconi: Per una bellezza dei quartieri italiani

, Alinea, 2005 p.55

3. F. Purini,

Disegnare Architetture

, Editrice Compositori 2007 p.42

4. “I quartier d’autore e quelli della speculazione edilizia hanno in comune il concetto di un’ossatura infinitamente ripetibile che concede migliaia di impercettibili variazioni all’interno di una serie di scelte semplici: Lo scheletro immaginato da Le Corbusier è L’inconscio della modernità.

L’intuizione agisce secondo manifestazioni inattese

. Questa didascalia fiduciosa, utilizzata dalla prospettiva Dom-ino per calcare, trionfante, la scena del novecento sembra essere l’iscrizione del suo inventore al club del Taylorismo e del progresso” in C.Gambardella,

Centomila Balconi: Per una bellezza dei quartieri italiani

, Alinea, 2005 p.55

5. “

La cabanne rustique

di Laugier o le opere di ingegneria (i silos, le navi ecc..) ammirate da Le Corbusier sono edifici privi di disegno e non esistono’ come ar­chitetture, finché qualcuno non ne celebri il rito della rappre­sentazione. Né lo sono quegli edifici distrutti di cui non si con­serva memoria iconica ma accurate descrizioni. In sostanza le potenzialità segniche di un edificio si manifestano non appena ci si applichi alla rappresentazione: solo allora la cosa costruita o descritta o vissuta nella memoria o più o meno razionalmente immaginata, è confrontabile con altre rappresentazioni e può essere riportata all’interno del discorso critico” in Angelo Ambrosi,

L’architettura nel suo statuto di Rappresentazione

, 1996 in L’arte e le arti, edito

Paolo Pellegrino

6. Bernard Rudofsky,

Architecture WithoutArchitects: A Short Introduction to Non-pedigreed Architecture

,Rizzoli, 1964

7. John F. C. Turner, Robert Fichter, 

Libertà di costruire

, Il saggiatore, 1979

8. Gaetano Licata,

Maifinito

, Quodlibetstudio, 2014,

p. 13

9. Luca Galofaro,

Per una poetica dell’interpretazione

, 2013 p. 12 in Dromos 03| 2013 Poetica

10. Il disegno non è più, solamente, uno strumento per registrare e controllare la complessità del progetto, ma diventa innanzitutto un soggetto estetico autonomo, con una individualità formale indipendente dalla realtà, capace di rappresentare una teoria del progetto e una visione politica del mondo. ” in Luca Molinari,

Il disegno è morto. Viva il disegno

, 2012 in Domus 956 marzo 2012 p. 69

11. M. Magagnini,

PICarchitecTure. Il medium è il montaggio.

, LetteraVentidue 2013

12. Carmelo Baglivo,

Disegni Corsari

, Libria 2014 p.12

13. “Ma per poter essere condivisa [la pietas] deve essere riconosciuta. Deve essere rappresentata [la pietas] in UNA FORMA GENERATA DAL BISOGNO. Deve mostrare fiera la sua genesi, ma assumere anche una dimensione dilatata ipertrofica ciclopica smisurata. Ma ancora riconoscibile. Una anamorfosi liberatoria e immaginifica. ”  B.Servino,

MonumentalNeed

, LetteraVentidue, 2012 p.10

14. “Per questo l’architettura deve basare il suo sviluppo su modelli teorici di riferimento che, pur cambiando forma ed espressione, siano capaci di mantenere inalterate le loro caratteristiche intrinseche. L’architettura deve essere vista come convergenza momentanea dello spazio ideale e di quello reale.” in

IAN+, Modelli

, Libria, 2010 p. 13

15. “La cultura architettonica non è quasi mai pensiero originale e geniale. Le idee e il pensiero umano, in generale, nascono dalla composizione/scomposizione d’informazioni che esistevano prima di noi e che entrano presto o tardi, nel nostro bagaglio di conoscenze, per poi trasmettersi di nuovo verso l’esterno, magari con qualche variazione”. in Luca Silenzi,

Conosci il tuo [archi-]meme

, 2012 in Domus 956 marzo 2012 p.75

16. “Tenerli qui uno dentro l’altro. Nell’ordine di un’altra appartenenza. Voglio diventare una natura così. Altra. E risarcire i danni.” in D. Vargas,

Opere e Omissioni

, LetteraVentidue, 2014 p.90

The conception of evoking images

Domenico Pastore

The drawing is an aphorism.

The aphorism is a tool for rapid communication

[of slow thoughts]

1

Images

Albes Fusha’s photographs have been taken during the summer of 2015, along the coastal road stretching from Lezha down to Fier, and record the alteration of the relationship between nature and those constructions of the Albanian territory that man has built after the fall of the communist regime. In the range of selected shots, we have incomplete, abandoned or partially occupied buildings, without an evident architectural quality, documenting how man has illegally occupied large areas of land and turned it into a place for living.

The photographic composition, mainly structured on a marked figure-ground distinction, emphasizes the isolated and marginal condition in which these buildings fell, giving those un-meaningful objects a monumental feature. Informal constructions, while being incapable of conveying any convenient form or way of living, evoke potential architectural overwriting.

Indifferent to the geographical features of the places where they have been constructed, these buildings occupy the scene where the events take place. Through different ways of enclosing the interior space, implying peculiar footprints on the ground, the frames filter out and conceal portions of the surrounding landscape. The depth of the view on the ground, framed by the pillars supporting the building, compensate for the interruption of the mountainous landscape on the background. Perimeter pillars freed from horizontal connections shape the space on which the shadow of the construction above is projected. Thus, the ground floor establishes an osmotic relationship with the natural environment.

Informality gives these houses a peculiar mode of settling that paradoxically appears as a form of respect for the land on which they lie, even though in reality they meet mere functional needs (protection from possible floods in flatlands, a possible further occupation by the family in the future or the desirable use for commercial purposes).

In all of these photographs we can recognize ‘l’icona dello scheletro, potente strategia concettuale, diviene quindi la matrice della costruzione urbana senza descrizione, una vera e propria invasione della crosta terrestre attraverso la definizione plastica di una nuova geografia attiva nella duplicazione di quella naturale. Lo scheletro parte da un dato assolutamente concreto: una colata di cemento con dei sostegni e null’altro’

2

.

The beauty of the Albanian landscape seems to be equivocally corrupted by the rigid reinforced concrete skeletons that measure territorial distances and scatter the view, brutally framed by structures or scratched by hovering concrete landings, in fragments. This space taken from nature reveals itself as a sort of treasure chest containing an atavistic dark space within, waiting for life or better aimed at achieving refining finishes that refer to the style of Western wealthy houses. The mystery that transpires from the brutal cuts of the unsecured openings on the exterior walls, hides a deep darkness beyond provisional partitions, namely images of emptiness, erected without necessity but driven by a desire for emancipation from the context where they lie.

Moreover, the selection of the visual research subject and the type of the framing

aims at revealing the common traits that characterize each building according to those principles and patterns that allow the domestic unit expand based on the growth of the family, adding further spaces for new dwellers. The potential shown by the construction is unveiled in its unexpected incompleteness featuring certain elements that could cause a future vertical layering of domestic spaces.

Three different types of framing capture the disturbing presence of informality on the Albanian coast:

- Front medium shot, which reduces the volume of the construction to the two-dimensions of the façade overlooking the road. It is an expression of the owner’s aesthetic sensibility, often conveyed after his stay abroad, or even a statement of a certain business by means of varied and multiform signs.

- Foreshortened shot, which outline the contours of the building in order to reveal the spatial volume in relation to a possible superimposition atop the roof. In these pictures, elements such as porches or loggias establish a close relationship to the outer space, showing how informal constructions engage and adapt to their environment. Ranging from arable land to landscape contemplation.

- Long shot, in which the image loses its direct contact, merging with nature and standing up on the landscape as a classical temple in dramatic position. Given the suspension of time in these shots, where the houses reach an ambiguous status between being a ruin of something that is slowly crumbling and the incompleteness of an architecture to come, some kind of reconnection to the picturesque representations of the eighteenth century is appropriate and lets the informal houses created by speculative purposes have a degree of sacredness.

To the eye of the photographer, who attempts to give a subjective view of the phenomenon, has been associated an analytical axonometric drawing to explore the relationship between the parts. The latter have been abstracted from the context and analysed in terms of formal incompleteness and visual uncertainty.

Wireframe representations show how the skeleton frame structure shapes the articulation of volumes and becomes the backbone on which one sets the enclosures that define the incomplete volumes of the building.

Maintaining that ‘the decisive power of the line is the only means for a sufficient and exact understanding of the structure of bodies of the visible world; the line unites and separates’

3

, the image of these buildings can be defined as our objects of investigation and research. The lower axonometric view discloses the punctual and discontinuous footprint on the ground and an ‘unaware’

4

reference to the modernist model of the

Maison Dom-ino

, freed from its settling logic and chosen as a minimum isolated unit to be reiterated.

The strict individuality of the architectural elements, which are surgically separated from the beauty of the uneven landscape, clearly reveals solecisms, imperfections and rawness that is intrinsic in constructions erected without a clear design

5

and now available for a radical transformation.

Without any intention to praise architectural spontaneity, as in

Architecture without Architects

6

or in

Freedom to Build

7

, we seeked to explore the potential of these unfinished constructions and discern whether they ‘possess positive elements that we can learn from, concepts that we can absorb, and complex practices that we can borrow, both to transform those same buildings and use them in brand-new projects’

8

.

Transfigurations

In-depth analysis on the constructions has been conducted by selecting architects of both nationalities to formulate a vision on

Albanian informality, based on sixteen shots by Albes Fusha. Each combination of architects, chosen by the editors of the respective countries, manipulated an image that could be close to the authors’ sensibility, as an opportunity to trigger a possible distance-dialogue over the same construction, declaring a personal position on informality. Thus, the diptych is both the formula of the exhibition and the way different transfigurations take place on the same issue, where the original image migrates in all fields of aesthetics.

The following definition condenses the premises on which 32 architects got involved in the

Evoked

visual research: ‘architecture today in nothing more than an operation of rewriting a text that is already written, an addition or rather a removal of something that already exists, in a finished form’

9

. Different outcomes transfigured each picture as a broken, abandoned or in embryo text by using mixed techniques of representation. A different way of understanding the base image and different modes of alteration of the figure in relation to its background gathered a sequence of ‘double’ interpretations, where new custom shapes and uses offer multiform visions on the policies to face the phenomenon

10

. The approach leading to the figurative and textual outcome can be conceptualized in elementary actions, which speculate on an architectural need to design a new formal interpretation or its absence:

LAYERING of signs and figures, reworking in a new order and allowing a settling of future possibilities. The operation has been adopted by a significant number of architects. The technique of collage

11

conveys an immediate possibility of sharing one’s design thinking, since it allows the simultaneous presence, in the same image, of significant portions of the original grafted with new elements. These collages reduce any temporal discrepancy between the elements of the figuration, achieving a simultaneous visual balance in which a new order replaces the existing one. ‘Through the collages we can make something new form what we have, we can reinvent the past and create new connections between things and people’

12

, disclosing the architectural idea by achieving a new visual balance. The action of layering implies the possibility to visualize new relations with the context, as well as increases the architectural density, with the aim of finding again a new collective meaning of the Albanian landscape that has no architectural landmarks.

IDENTIFICATION of important fragments with a dramatic charge, or archetypal figures on which the architect conducts limitless extensions, denouncing the need to rework the neglected status as a condition from which to arise the dignity of informality to that of architecture

13

.

ALTERATION of images according to re-elaborations of existing elements, shaping the formal pattern that finds its necessity in the original landscape. While informal constructions imply an attitude toward change with no fixed outcome, the visions freeze certain configurations that have their figurative power in disclosing possible scenarios.

HYBRIDIZATION of different techniques of representation, both digital and manual, establishes a new contact with reality, where the two integrate each other’s limits in a relationship of figurative integrity and expressive strength. The imaginative thinking reactivates the movement of the object that migrates from one dimension to another.

REMOVAL of any direct reference to the base image, from which we capture only few hints, and subversion of the initial representation by the introduction of abstract

rewritings, mixed with personal biographies and design thinking. The conceptual operation is firm, it achieves a high degree of abstraction and pushes the building to the edge of imagination and critical thinking

14

, from which we can shape a new idea of architecture, eligible to be further developed.

REPETITION of infinite patterns and variations on an apparently blocked text, on which the line between writing and drawing becomes unstable. The original construction, if carefully elaborated, can be sampled and evoked as a fragment, avoiding its entire visual reproduction

15

.

REDUCTION of the base picture to a mere drawing, by means of the recognition of the contours that refer to the three-dimensionality and the abolition of any superficial variation of the elements. Although the elaboration does not immediately reveal the intervention of the author, being blended in a natural association with the starting condition, it shifts the scope of the formal experimentation to the functional and conceptual redefinition of the building.

SAMPLING of well-known images as an instrument of evocation of architectural thinking. It is structured in different ways and achieves various expressive results. This action does not provide an immediate formal or spatial response to the phenomenon, but it show a personal position through the act of provoking or denouncing a certain state of things using the image as a

medium

.

REINVENTION of the site in which the new pieces have been placed. This action is not an ordinary rewriting of natural conditions, but it rather understands nature as the protagonist of the scene, and entrusts nature for governing and channelling the desire to occupy and possess the environment.

Cleared, reflected and re-naturalized, the landscape of incomplete constructions was not meant to be a background for the events but rather a subject and figurative substance that can lead to projects and desires of transformation, having the task of repairing the link with architecture

16

.

We can recognize, in the works presented, the ultimate role of representation that is intended to be a device (as well as a means) capable of renewing our demand of seeing and transform those objects that are not yet able of evoking architecture.

UNO SGUARDO IN MOVIMENTO

 

Fernell Franco
Cali Clair-Obscur
Texts by Oscar Munoz, Maria Wills

Co-publication
Fondation Cartier pour l'art contemporain / Toluca 2016

Non conoscevo il lavoro di Fernell Franco, ero andato alla Fondation Cartier per visitare la mostra di Daido Moriama. (1)
La mostra del fotografo Colombiano, prima retrospettiva Europea, scomparso nel 2006, è stata qualcosa di sorprendente.
Le sue immagini, raccontano la Colombia ed in particolare la città di Cali che nel 1970 conosce un momento culturalmente molto intenso. Ma anche un contesto culturale che vive del rapporto di una serie di artisti,

The Cali Goup, che si confrontano continuamente con i cambiamenti sociali della città. I luoghi raccontanti dalle fotografie di Franco e di Oscar Munoz, i disegni di Ever Astudillo le parole dello scrittore Andrès Caicedo così come il lavoro dei registri Luis Ospina e Carlos Mayolo.

Lo sguardo di Franco è uno sguardo intenso che utilizza il medium della fotografia modificandolo e manipolandolo di continuo.
Non sono tanto i soggetti ad attrarre chi guarda ma la loro componente materica, che evidenzia la cura del fotografo nella scelta del tipo di stampa e della carta sulla quale la stampa è effettuata. In un mondo dove le immagini digitalizzate e stampate in grande formato creano una distanza fisica evidentecon l'osservatore, in questa mostra ci sembra di imparare a guardare per la prima volta. Una sensazione difficile da spiegare, ci provo.

Fin dalle prime stampe in mostra mi sono trovato a cercare la distanza giusta per capire cosa stavo guardando ma specialmente per prendere il posto del fotografo e chiedermi cosa voleva mostrare e ho capito che Franco non cercava di rappresentare qualcosa di statico un tempo fermo, cercava di selezionare pochi elementi che raccontassero un movimento impercettibile, il sorriso di una prostituta mentre si fa la doccia in un cortile, oppure il giocatore di biliardo che guarda il gioco e anticipa con lo sguardo il movimento che verrà. Ma è anche la semplice vibrazione della vernice su un muro in rovina, che nel momento esatto in cui loguardiamo cessa di essereoggetto, prende vita, una vita diversa dalla realtà oggettiva.

Le diverse serie prodotte da Franco hanno origine dal suo amore per il cinema italiano e quello messicanoe dalla capacità di esplorare con lo sguardo le città dell'America Latina in piena trasformazione. Il montaggio attuato secondo modalità diverse il suo strumento di lavoro principale. Poi arriva la purezza oggettiva dell'atto del fotografare. Il lavoro in camera oscura è rafforzato dalla sua capacità di non considerare nessun lavoro concluso, le immagini sono manipolate di continuo e rivitalizzate attraverso applicazione di colore, utilizzato per evidenziarne solo alcune parti. Alle Stampe tradizionali si accostano stampe manipolate o decostruite attraverso collage e montaggi in sequenza. Colore, frammenti, disegni arricchiscono un lavoro che trasforma il medium della fotografia in una forma di pittura attraverso luci ed ombre.

Franco in un intervista dichiara

  "In Cali the intensity of the sunlight makes one understand the importance and the truth of shadow in acts as simple as crossing the street to get out of the sun. Here you are always adjusting your eyes to the contrast, whether from light to darkness or from darkness to light."

Ferrell Franco sceglie sempre la sequenza, e la stampa, multipla dello stesso scatto con trattamentileggermente diversi uno dall'altro. Bianco e nero oppure colore desaturato applicato sulla stampa un secondo tempo. Lavora in camera oscura modificando al luce dello scatto, la manipolazione analogica e non digitale è cercata come potrebbe fare un pittore, la luce è lo strumento attraverso il quale dipingere lo spazio, la luce tipica della città Colombiana diventa lo strumento attraverso il quale disegnare spazi. Attraverso la fotografia e le tecniche di manipolazione delle immagini Franco da vita a documenti che riproducono la sua memoria, l'immagine fotografata è solo il punto di partenza per cominciare un lavoro di narrazione.

Anche il rapporto con altri due artisti che hanno condiviso momenti di ricerca sugli stessi temi ma con linguaggi diversi, Munoz e Astudillo (it is curious to note, nevertheless, how all of them, each in his own style, reveal the ways in which photography and drawing interprenetrated and influenced each other) è parte della trasfigurazione delle singole immagini, uno scambio di pensiero che produce un evoluzione della pratica del fotografare.

Le immagini per Franco non sono mai complete, ad una stampa ne accosta un'altra praticamente identica su cui interviene, poi un'altra ancora tagliata in parte ed altre volte stampata in formato diverso, un andare avanti edindietro frugando lo spazio che circonda i personaggi e gli oggetti come se il suo soggetto fosse nascosto e quello che vediamo, qualcosa che ci trae in inganno e ci distrae dal vero soggetto fotografato, lo stesso Franco sembra cercarlo di continuo.

Una riflessione che indaga il limite tra pubblico e privato, tra oggettivo e soggettivo, tra ciò che guardiamo e quello che invece vediamo realmente attraverso la nostra memoria. Ma andiamo con ordine ho,scelto pochi scatti per descrivere le sensazioni che ho provato,e che continuo a provare guardando queste fotografie. Ogni fotografia rappresenta una serie presentata alla mostra.

Billares

The billiard halls were beautiful places with which I was very familiar with. They started to disappear in the early 1970s in the wake of the urban renewal of Cali..... The billiard halls were the only thing left of a way of life, of an urban culture that disappeared with them
In questa fotografia lo sguardo dell'autore non è  statico si muove di continuo per cercare relazioni tra oggetti spazio e gli uomini che animano questo spazio.
La stessa immagine è presentata più volte, con tagli diversi, la stessa foto quindi è un immagine in movimento, alla fotografia in bianco e nero ne è accostata un'altra identica in cui il colore si appropria solo del biliardo, ad un'altra stampa manca un pezzo,  al centro del fotogramma quindi appare un'altra scena che nella prima foto era marginale.

Demoliciones

The city i loved as a teenager on my bicycle rides and during my incessant search for theaters and films began to disappear or to deteriorate around 1970
La trasformazione della città raccontata attraverso dettagli di edifici decadenti, abbandonati, in attesa. Muri, intonaci scrostati, fotografati da vicino diventano superfici tridimensionali, prendono vita.

Prostitutas

After working for four years in an advertaising agency, I began to put togheter the prostitutes series, my first indipendent creation....my intention was to do something more than a narrative of silent images. I was always hoping to do something with the possibilities of the simultaneous quality of cinema.

Farrell Franco ha lavorato come fotografo di moda, le immagini sono costruite la realtà dei suoi soggetti è costruita sulla finzione. Le fotografie delle prostitute evidenziano la necessità di guardare il reale per quello che è, nessuna finzione. Due tipi discatti, soggetti in posa su un letto, Franco scruta le anime cerca di raccontarci le storie dietro questa realtá.
Nelle foto di gruppo invece cerca di rubare sguardi e sorrisi una quotidianitá fatta di gesti e spazi che li ospitano.

Interiores

It was important to modernize the city and adapt it to the changes that had taken places, but everything was done as it always done: without taking memory into account and the kind of design demanded by this climate and this landscape. 

Spazi in attesa luoghi che raccolgono la memoria di chi guarda, stanze ritratte dall'alto, punto di vista inusuale.

(1) 

fotografo giapponese, che ama le strade delle città che rappresenta attraverso un montaggio serrato di particolari insignificanti, ma che una volta montati uno accanto all'altro delineano con perfezione i diversi quartieri delle città che il fotografo attraversa di continuo ed in tempi diversi.

UN' IDEA DI MONDO

Istanbul Passion Fury Joy
a cura di Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli
Quodlibet 2015

… Le definizioni limitate e tradizionali di architettura e dei suoi mezzi hanno oggi perduto in buona parte di validità. Il nostro impegno è rivolto all’ambiente come totalità, e a tutti i mezzi che lo determinano. Alla televisione come al mondo dell’arte, ai mezzi di trasporto come all’abbigliamento, al telefono come all’alloggio. L’ampliamento dell’ambito umano e dei mezzi di determinazione dell’ambiente supera di gran lunga quello del costruito. Oggi praticamente tutto può essere architettura (H. Hollein)

Hans Hollein negli anni sessanta rompe con l’immagine idilliaca dell’architettura, sostituendola con oggetti d’uso comune dichiarando che tutto è architettura; non pensa più in termini di stile, di convenzionali opere architettoniche, ma considera l’architettura come l’arte, espressione dello spirito umano. Le parole di Hollein assumono oggi un significato ancora più profondo, nel momento esatto in cui tutto è diventato realmente architettura.

Ma se tutto è architettura è sempre più difficile distinguere la disciplina dalle altre pratiche artistiche che usano la città come testo da tradurre in spazi della comprensione.

Per un progetto di architettura è fondamentale seguire le richieste del mercato e costruire buoni edifici, ma è altrettanto fondamentale fare in modo che il progetto continui ad essere uno strumento di pensiero interpretativo della realtà. L’architettura non deve solo prefigurare il futuro ma deve crearne le condizioni, dando forma alla realtà del presente, per farlo è necessario un atteggiamento culturale che non abbia l’esigenza di trovare nuove formulazioni teoriche e linguistiche, che non si riducano all’attuale condizione di perenne antagonismo tra posizioni diverse. La condizione denominata negli anni settanta radicale , per i suoi connotati politici e sociali e per i continui riferimenti alle avanguardie artistiche che sovvertivano i linguaggi moderni, non è più praticabile; non si può scegliere di essere radicali, l’avanguardia cambia di continuo perché legata a molteplici paradigmi le cui linee di ricerca hanno frammentato ogni discorso sullo spazio. I paradigmi producono solo linguaggi diversi in continua lotta tra di loro. L’ubriacatura del digitale, la morfogenesi parametrica, la sostenibilità, la tecnologia, solo per citare i più diffusi, non hanno avuto la forza di modificare fino in fondo lo spazio reale ma hanno creato fino a questo momento, mondi isolati, che faticano a sovrapporsi. Non esiste neanche la possibilità di ripensare lo spazio urbano attraverso una dialettica politica e culturale, perché la politica si è trasformata in un’amministrazione economica della cosa pubblica, e la cultura coincide sempre più con un mercato che vede l’arte come la nuova frontiera del consumo. L’architettura si è adattata ai cambiamenti, è divenuta un prodotto da consumare, e come tale sono le immagini a diventare attraverso il senso di meraviglia

il veicolo di una potenza persuasiva che modella le coscienze e disciplina la società.

[1]

Istanbul sembra vivere una condizione diversa, qui assistiamo alla formazione di un mondo nuovo, frutto di conflitti visibili ed invisibili che sul terreno economico, politico e religioso stanno ridefinendo il mondo. Un mondo che ci riguarda tutti, ma a cui l’Europa ha voltato le spalle.

Nel Maggio del 2015 migliaia di persone hanno marciato nella capitale turca,  due anni dopo le proteste di Gezi Park contro il governo, chiedendo giustizia per le vittime. A convocare la manifestazione, che si è svolta senza incidenti, è stata la piattaforma Taksim. Il parco è stato blindato e le vie d'accesso alla piazza bloccate dalla polizia.
Negli ultimi mesi poi, più di 500.000 siriani, secondo le stime del ministero dell'interno turco, popolano oggi la città, per molti divenuta 'la nuova capitale della Siria', centro nevralgico della grande ondata migratoria causata dal dramma della guerra.

La città non è più la stessa sta vivendo una crisi ma anche uno straordinario momento di rinascita culturale a livello nazionale ed internazionale

[2]

.

Questa rinascita urbananon è rappresenta da luoghi istituzionali come i musei, come avveniva alla fine degli anni novanta, ma da unritrovato spirito della comunità artistica della città. Sono gli artisti e gli architetti a rappresentare questa crescita e il loro spazio non è il museo ma è la città stessa. I musei così come sono realizzatioggi non hanno quasi più senso di esistere, la loro forza iconicagestisce un rapporto troppo formale con il territorio, lo spazio nasconde le opere invece di mostrarle, devono essere re inventati. 

Ad Istanbul la mobilitazione generale si è trasformata in profonde riflessioni, dibattiti critici e azioni di resistenza quotidiana i protagonisti di questo scenario hanno preso di nuovo coscienza delle loro responsabilità sociali, l'arte si espande al di fuori dagli spazi espositivi, un po’ come è avvenuto nel periodo della Land Art, ma oggi al paesaggio si sostiuisce la forma urbana.

Molti artisti si impegnano, attraverso la loro opera, a interrogare le problematiche relative alle conseguenze sociopolitiche della crescita economica e urbanistica: i diritti della classe lavoratrice, delle donne, delle minoranze etniche e anche dei rifugiati.

[3]

Questo impegno sta creando uno spazio di confronto necessario ad una trasformazione della città, che oppone resistenza all'urbanistica globalizzata che sta cambiando il volto della città, modificando la sua forma urbana.

La mostra al Maxxi di Roma racconta questi nuovi spazi di senso e la loro trasformazione, lo fa costruendo un luogo di confronto tra spettatori e artisti(è necessario visitare la mostra con lentezza e più volte per rendersi conto della densità di ciò che viene rappresentato). Affronta cinque temi legati alla realtà della Turchia contemporanea: le trasformazioni urbane e la gentrificazione; i conflitti politici e l'identità culturale; i modelli innovativi di produzione; le urgenze geopolitiche; la speranza. La maggior parte delle opere si costruisce attraverso sovrapposizioni di frammenti diversi, ogni frammento registra una modificazione tra memoria e realtà quotidiana.

Drift

ad esempio nasce dalla combinazione di due serie di immagini, la prima caso e destino dove il concetto di caso è utilizzato in modo triplice: come metafora della multistratificata natura organica di Istanbul, come metodo per affrontare l'ambiente urbano attraverso l'investigazione dissociata degli spazi pubblici e personali, e come contemplazione della natura casuale, attraversodella fotografia di strada. La seconda

Nothing surprising
verte sui concetti di crisi e resistenza in contesti urbani, combinando immagine di strada e estranei con immagini di interni e di amici, nonché la condizione pubblica con le ossessioni e desideri più intimi.

Pleasure place
invece, racconta il fenomeno delle

Nail Houses
le abitazioni che i residenti si rifiutano di abbandonare per far spazio a nuove costruzioni, piccoli modelli attorno ai quali viene scavato il corpo della città mettono in scena la quotidiana resistenza degli individui contro le strategie dello Stato e contro i soprusi delle compagnie private che stanno ricostruendo una città completamente nuova senza considerare le stratificazioni e la complessità di Istanbul.

Un discorso quello di questa mostra che va oltre le opere esposte, dove l'arte prefigura la creazione di uno spazio altro, in cui il reale si compone di frammenti di memoria e attualità che rendono il museo come istituzione un oggetto superfluo e lo spazio urbano, un luogo necessario, che deve essere protetto se vogliamo salvare le nostre città.

Publicato sul numero 84 di Arte e Critica

[1]

Franco Berardi (Bifo) Dopo il futuro dal futurismo al cyberpunk. L’esaurimento della modernità. …la citazione è legata alla definizione del barocco, come momento in cui si delinea per la prima volta l’intima scissione del discorso pubblico, la separazione tra sfera della verità fondante e sfera della simulazione linguistica e immaginaria. Oggi questa separazione è diventata endemica nell’assimilazione tra cultura ed immagine, tra realtà e visione prodotta solo per creare un plusvalore a qualsiasi operazione che agisce sulla città. Il progetto perde valore l’immagine ne diventa il simulacro.

[2]

Un percorso che coinvolge opere di 45 artisti, architetti e intellettuali a partire dai cambiamenti della realtà culturale, sociale e urbana di Istanbul e dal loro impatto sulle pratiche creative. La mostra è il risultato di una lunga ricerca ispirata dal confronto con la comunità creativa di Istanbul ed esplora temi come i mutamenti urbani, le minoranze e la migrazione.

Istanbul. Passione, gioia, furore la Mostra al MAXXI (a cura di Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli)

[3]

  Hou Hanru, Dal catalogo della mostra, Istanbul Passione Gioia Furore Quodlibet 2015

LA SANTA MUERTE

Anime
la Fondazione VOLUME!
installazione site specific dell’architetto e designer Andrea Branzi, a cura di Emilia Giorgi.

La mostra Anime alla fondazione Volume mi ha disorientato, Branzi nell'intervista della curatrice Emilia Giorgi. Descrive la sua istallazione site specific come un saggio su una nuova “drammaturgia” del progetto” attraverso una messa in scena che diventa una sorta di manifestoredatto proprio attraverso lo spazio e gli oggetti che in esso si collocano:

Anime mette al centro dell’ulteriore riflessione il tema di vita e morte e del loro scorrere in un ciclo continuo.

Arte e Architettura sono
la messa in scena del limite invalicabile tra corporeità, anima ed immaginazione?
“Da tempo ho constatato che tutto l’apparato linguistico e i fondamenti della modernità  classica, sono scaduti. Un certo ottimismo elegante, razionale, geometrico su cui si è fondata la gran parte della modernità  ha escluso tutti i grandi temi antropologici: la vita, l’eros, il sacro, la morte, il destino degli universi animali e vegetali. Nel XX secolo altre attività  creative, come la musica, l’arte e la letteratura si sono profondamente rinnovate immergendosi nel travaglio della storia mentre la cultura del progetto ha preferito dare voce alle sole mutazioni della disciplina. Io credo sia urgente che la cultura del progetto cominci a elaborare dei linguaggi nuovi legati a una nuova drammaturgia e a nuove tematiche antropologiche.”

Branzi disegna un paesaggio buio e inaccessibile, sulle note di Whola Lotta Love dei Led Zeppelin dove, accanto a teschi, alle piante, ai frutti che sembrano lasciati come offerte votive, cerca di scavare nel lato cupo e nascosto delle nostre anime,  sembra volerle farle venire allo scoperto dai recessi della nostra memoria ancestrale, perché possiamo essere ancora in grado di recepire il loro messaggio vitale. I teschi schierati ed ordinati lungo il percorso ricordano più il culto della Santa Muerte, una figurasudamericana le cui origini sono incerte; sebbene alcuni ritengano sia legato al culto della morte precolombiano, molti asseriscono invece trattarsi piuttosto di un sincretismo con la religione Yoruba, pure diffusa sul posto. Invece che le tracce del sacro delle catacombe romane, luoghi di culto ma anche rifugio per i corpi in attesa di una celebrazione.

Un culto "popolare" non "organizzato", senza "chiesa", quello della santa muerte, arrivato recentemente alla ribalta, perchè seguito e praticato da gruppi di narcotrafficanti.

Un culto che non si svolge in luoghi pubblici, ma nell'intimità dello spazio domestico e privato.

Lo spazio, gli oggetti, l'atmosfera descrivono una condizione limite tra religione, credenze popolari, e superstizioni, che rappresenta volutamente una zona d'ombra in cui non esiste differenza tra vita e morte e che porta il visitatore ad attraversare un confine immateriale rappresentato da uno specchio che rende infinito lo spazio della galleria, completamente modificato da Branzi nel suo intervento, non esiste più un riferimento ed una direzione dello spazio rappresentato. Uno spazio infinito che non può essere percorso per intero, la sua circolarità riporta indietro il visitatore senza dargli la possibilità di attraversare il confine.

Questo limite appartiene alla nostra anima, o meglio alla nostra memoria, é difficile da raggiungere e da superare. Uno spazio interiore raccontato anche magistralmente da Innaritu nel suo Revenant, che una volta spogliato della storia di vendetta e lotta tra uomo e natura, si rivela invece simile allo spazio delle anime di Branzi, nella costruzione di una sacralità estrema dove religioni diverse si scontrano e confrontano così come i personaggi sognati, oppure ricordati dal protagonista del film.

Innaritu guarda il mondo da un punto di osservazione inusuale cercando nella natura ostile ed infinita quel limite che Branzi segna con una superficie riflettente e con oggetti d'uso rassicuranti, ma in uno spazio interno, ultimo atto della sua non stop city. Lo spazio fisico di Branzi si contrappone allo spazio della memoria del regista messicano. Al paesaggio naturale infinito ed incontrollabile, si contrappone un interno ben delimitato. Gli alberi e i cieli guardati sempre dal basso si muovono così come la luce delle lampade disegnate da Branzi. Il tema del sacro si fonde con la memoria e la spiritualità di chi osserva, forse è solo un caso ma a me sembra di soccombere sotto la pressione di questa ricerca infinita di una risposta che semplicemente vuole esplorare quel vuoto che Innaritu cerca con forza e distacco quando dichiara se lo scopo della tua vita è la vendetta, una volta che riesci a ottenerla, la tua vita non avrà  più significato. Io volevo esplorare quel vuoto. Dentro di sé  Glass ha qualcos’altro, ed è  amore. Quell'amore che Branzi da una vita coltiva con la sua ricerca senza fine sull'architettura.

DUE MOSTRE A ROMA

Prototypology - An Index of Process and Mutation
Gagosian Gallery Roma
14 gennaio- 5 Marzo

Basta leggere le parole del sottotitolo dellamostra per capire che al centro del discorso non è l'opera d'arte ma il processo creativo, che prende forma dalle annotazioni che ogni artista raccoglie durante la fase di ricerca, dall'ideazione alla realizzazione finale di un opera.
Le annotazioni, sono il punto di partenza, l'inizio del viaggio della fase ideativa e realizzativa di un'opera. La forma emergenel momento esatto in cui gli artisti cominciano a tenere assieme frammenti diversi, disegni, fotografie, prototipi, segni e forme.

Rachel Witerehad

La mostra include nuovo lavori e materiali di archivio di artisti quali Michael Heizer, Takashi Murakami, Albert Oehlen e Robert Therrien, solo,per citarne alcuni. Dan Graham, Claes Oldenburg, Tatiana Trouvè e Rachel Whiteread sono presenti con studi di scultura che rivelano istanti del processo creativo altrimenti nascosti, gesti monumentali, quotidiani e mistici sono visibili nella selezione di schizzi preparatori e progetti.

Tatiana Trouvè

La diversità delle forme e delle modalità di montaggio delle idee ha una sola caratteristica comune, il tempo, necessario alla loro realizzazione. Guardare questa mostra significa muoversi tra opere diversissime tra loro cercando la forma, che si suppone sia li, davanti a noi. Non basta cercarla per poterla scovare è necessario ripercorrere il sentiero più volte, per decifrare i segni veloci che la costruiscono lentamente.

Dan Graham

Dovremmo cambiare la logica sottesa al nostro sguardo storico e non valutare queste opere con il metro della ricerca del reale (inteso come corporeità dell'opera) ma con una logica che trasmette il processo di costruzione del pensiero dell'artista, l'annotazione veloce, frammentata ed incompiuta rimanda ad un altra annotazione e poi ancora alla promessa dell'opera, ma si carica in questo formarsi di un valore superiore all'opera stessa, perché é capace di mostrare l'anima dell'artista la sua idea primaria, l'inizio del procedere. Non un lavoro compiuto ma le possibilità  racchiuse in un processo di genesi che avviene nello spazio dello studio dell'artista.

Piero Pizzi Cannella

Queste opere tutte assieme, nella loro diversità hanno la capacità di costruire un luogo comune, lo spazio dell'attesa che racchiude le loro vite.

Non il museo, ma l'atelier che protegge gli sguardi ancora incompiuti.

Piero Pizzi Cannella
Interno via degli Ausoni
a cura di Marcello Smarrelli

FONDAZIONE PASTIFICIO CERERE
Roma // fino al 5 marzo 2016

Il racconto frammentario della costruzione di un opera, è rappresentato in un'altra mostra a Roma al Pastificio Cerere . Qui Piero Pizzi Cannella descrive e disegna gli spazi di questo luogo dell'arte Romano, li disegna attraverso frammenti e sensazioni, segni di un'autobiografia dell'immaginazione. Esiste un tempo per arrivare alla rappresentazione dello spazio in cui si lavoro, ritrarre un luogo infatti non è facile.

Pizzi Cannella attraverso la sua memoria cerca di raccontare prima di tutto un luogo, per poi restringere il campo ad un unico sguardo verso il suo atelier e il proprio mondo interiore.

Piero Pizzi Cannella

Piero Pizzi Cannella

Impossibile riuscire a separare ilreale dalla sua interpretazione, seguendo queste tracce di tempi diversi, che lentamente attraverso una sequenza lenta, trovano forma compiuta

in un' immagine che le racchiude tutte.

Una sorta di archivio della memoria che dà  luogo ai ricordi e identifica i ricordi come luoghi. Nell’architettura emozionale del Pastificio Cerere ricreata da Pizzi Cannella emergono le immagini di una passata, eppure viva, fucina culturale.

Piero Pizzi Cannella